“Il culto del tè” dimenticato…

Ricordate quale fu il primo popolo occidentale ad entrare in contatto con il mondo orientale, nello specifico con il tè? I portoghesi! Avevate indovinato? Se vi siete accorti di qualche vuoto di memoria, niente paura: Barbara ha già spiegato tutto qui.

Tornando a noi, il Portogallo, nei primi anni del ‘500, non s’insediò solamente in Cina ma anche in Giappone! Se, però, diamo uno sguardo alla letteratura portoghese stessa, ci accorgiamo presto di come manchino quasi completamente documenti storici che si riferiscano alle tradizioni nipponiche e, nello specifico, al !

Il culto del tè 3

Non so se si trattasse semplicemente di disinteresse, di rinuncia verso costumi e punti di vista differenti o, più semplicemente, dell’incapacità di rielaborare in concetti comprensibili quanto si poteva osservare nel Sol Levante ma, di fatto, del tè giapponese non si menziona nulla fino alla fine dell’800.

Nel 1905, viene pubblicato O culto do Cha (Il culto del tè), un brevissimo trattato di Wenceslau De Moraes, piuttosto sentimentalistico a dire il vero, dimenticato dai più ed oscurato dal maggiore successo del celebre Il libro del tè (Okakura Kakuzō) ma non per questo da sottovalutare.

L’autore

Il culto del tè dimenticato
Foto che ritrae Wenceslau de Moraes con la sua famiglia.

Wenceslau de Moraes, nato a Lisbona nel 1854, fu Ufficiale della Marina Militare portoghese e, in seguito, diplomatico proprio a Macao e Kobe, sbocchi portuali commerciali con l’estremo oriente. Ammaliato e stregato dalle tradizioni giapponesi, egli sposò Fukumoto Yone, una geisha, inoltrandosi così nella popolazione locale, convertendosi al buddhismo, assumendo i costumi nipponici fino a rendersi un estraneo agli occhi dei suoi “fratelli” occidentali, giungendo a morire nel Sol Levante, dove ancora oggi viene ricordato. Pubblicò opere nelle quali riassumeva quanto da lui appreso circa vari aspetti delle usanze locale dedicando anche, per l’appunto, un breve scritto al mondo del tè.

Sentimentalismo

Pare certo che mai nessun giapponese, che ignora il bacio, abbia posato le labbra su quella mano che sfoggia splendori di grazia per servirgli il tè. Il forestiero, in questa serena intimità, può mostrare la sua galanteria se la fantasia lo tenta; e vedrà forse la manina della musume, riconoscente per la carezza, attardarsi, come una docile tortorella fremente di tenerezza.

Più che d’un trattato storico, dobbiamo aspettarci quantomeno una sorta di lettera sentimentale, dal timbro solo in parte oggettivo.

Tra descrizioni tecniche e rigorose, infatti, emergono spesso sensazioni d’ammirazione e devozione assoluta nei confronti delle tradizioni culturali ma, allo stesso tempo, la triste consapevolezza di non poterne mai essere appieno partecipe, di non essere in grado di carpirne appieno la totalità di significati.

Esclusione

Sono stato una volta, è vero, con due o tre amici, in una delle più rinomate chaya della città di Kobe a Tama-Guiku (Pratolina Preziosa) era la celebrante della cerimonia. […]

Tama-Guiku aveva terminato. Si alzò sfolgorante di grazia, di vesti, di maestà. Il suo piccolo viso affabile era illuminato dall’eccitazione beatifica che le elettrizzava lo spirito; ella rivolse verso di noi la nera scintilla dei suoi occhi e ci salutò reverente…

Reverente non perché fossimo degni della benché minima cortesia, – poveri Occidentali ignoranti! – ma per rigorosa osservanza del rituale codificato; e scomparve dalla scena.

Rileggendo le parole di Wenceslau de Moraes emerge anche un altro aspetto della società Giapponese. L’autore, inconsciamente, riferendo di sentirsi talvolta emarginato, escluso, allontanato dalle cerimonie e festività più intimamente giapponesi, fornisce un’importante quanto indiretta testimonianza di una caratteristica che potremmo definire generale della personalità media nipponica: la diffidenza.

Non è raro, dunque, oggi come ieri, sentirsi in qualche modo “di troppo”, tutt’altro che bene accetti, al cospetto di un cittadino giapponese nella sua terra natale. Secoli di storia d’isolamento dal resto del mondo, opere della letteratura tradizionale ch’esaltano il nazionalismo ed il patriottismo quali Hagakure (Yamamoto Tsunetomo) ma anche Libro d’ombra (Jun’ichirō Tanizaki), ch’insinua una presunta superiorità dell’estetica giapponese stessa su quella occidentale, hanno senz’altro instillato negli abitanti del Sol Levante un forte senso di comunità esclusiva.

Il culto del tè

In conclusione, v’invito a riscoprire Il culto del tè, per possedere veramente una profonda conoscenza in merito alla storia della “regina delle camelie” in Giappone, un sapere che non si arresta alle nozioni maggiormente diffuse e che rischiano, per quanto corrette, di ottenebrare invece aspetti parimenti interessanti e determinanti di ciò che ha fatto della “bevanda ambrata” la “schiuma di giada”.

Oggi, grazie all’accurata e lodevole selezione di Luni Editrice, avete la possibilità di riscoprire una perla nascosta della storia, di assaporare la devozione d’un uomo per una tradizione culturale, un amore disinteressato e senza tempo, in grado di abbattere gli stereotipi e scavalcare pregiudizi…

Omar.
12 maggio 2020
#UnTèAlSolLevante #Riflettetè

3 pensieri su ““Il culto del tè” dimenticato…

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