Il “giallo” del tè giapponese
“Il maestro Rikyū era un uomo davvero unico e straordinario. Nessun chajin al mondo potrà mai competere con lui, nessuno potrà mai oscurare la sua grandezza. Egli seguiva la sua strada in completa solitudine. Officiava il rito del Tè da solo. È stato lui a fare del cha no yu una vera e proprio forma d’arte e non più un semplice passatempo. Ma infine non ne ha fatto un luogo zen, bensì un luogo dove compiere seppuku.”
(Morte di un maestro del Tè, Yasushi Inoue, 1981)
Non faccio mai “di tutta l’erba un fascio” ma posso affermare con buona certezza che la maggioranza dei tea-lovers che ho conosciuto, più o meno direttamente, condividono un tratto in comune: la passione per la lettura. Poco importa il genere letterario: pare proprio che l’amore per la “bevanda ambrata” e quello per la letteratura siano destinati ad andare a braccetto e, d’altro canto, capolavori come “Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie” (Lewis Carrol, 1865) o il più recente romanzo di ampio successo “Il profumo delle foglie di tè” (Dinah Jefferies, 2016) sugellano definitivamente questa unione.
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