Graffi al sapore di tè

Viaggio intorno al tè vi porta a scoprire un racconto di Roberta

Ho conosciuto Roberta ad un corso di Copywriter e ci siamo ritrovate ad un altro di Marketing e Comunication e vedendo il suo talento le ho chiesto di aiutarmi a migliorarmi su Instagram. Vedendo la sua capacità di scrittura ho pensato di invitarla a scrivere un racconto per la rubrica “Un tè con…”.
Lei si definisce come un’anima inquieta e curiosa. Appassionata di scrittura, copywriting e comunicazione. Buona lettura.


Graffi al sapore di tè

«Ma cosa ti è saltato in mente?! Sembravi un pazzo!»
«Ti rendi conto?! Adesso di là stanno cercando di salvarci il culo! Non possiamo permetterci di perdere questo cliente!»

Eccomi qua, seduto sul pavimento del bagno dell’ufficio, dopo aver provato il mix di sensazioni più incontrollabili che io abbia mai sperimentato.
Il tizio che mi parla così è Rudi, il mio collega. Continua a camminare avanti e indietro. Mi fa venire il vomito.

Lo sto lasciando fare, perché non ho la forza di reagire. Anche la mia più piccola particella di energia, è stata deflagrata in quella sala riunioni.

Faccio un passo indietro e cerco di spiegarti meglio la situazione.

Mi chiamo Matteo, ma tutti mi conoscono come “Graffio”. Così hanno cominciato a chiamarmi, in azienda, dopo i primi contratti chiusi a nostro grande vantaggio.

Sono un lavoratore instancabile, focalizzato al raggiungimento del risultato e spietato, quando serve. Rudi dovrebbe essere un mio pari. Mi vien da ridere! In realtà vorrebbe esserlo ma gli manca quell’attitudine, sai, proprio non ce l’ha.

Sentii la porta del bagno spalancarsi.
« Che diavolo è successo Girardi?! Il cliente ha detto che non ha intenzione di fare affari in una gabbia di matti!»
« Adesso tu te ne vai a casa e cerchi di risolvere i tuoi problemi! Non ci possiamo permettere queste sceneggiate! Rudi, accompagnalo!».

Drin Drin Drin sono le ore sette del mattino

Apro un occhio e sento la fatica che mi costa. Mi devo alzare. Devo andare al lavoro. Tolgo il lenzuolo e scopro di essere ancora vestito come ieri. In un attimo torna tutto in mente, rimango seduto, come paralizzato, con gli occhi sbarrati. Ma che cazzo mi è successo. Sotto la doccia mi riprendo un po’. Mi rivesto e vado al lavoro.

Appena si aprono le porte dell’ascensore dell’ufficio, incontro il capo.
« Che diavolo ci fai qui? Pensavo di essere stato chiaro!»
« Buongiorno Dott. Ardei, ha ragione. Le chiedo immensamente scusa per ieri! Non so davvero cosa mi sia successo! Forse troppa adrenalina…»
« Non mi interessa -taglia corto lui- tu adesso da qui te ne vai. Consegna il badge a Marta.»

“Il Graffio” fino alle 13:59 e uno da sbattere fuori appena dopo.

Drin Drin Drin sono le ore sette del mattino

La devo staccare quella cazzo di sveglia.

                                          ———————–

Bene. Anzi, male. Sembro un verme. Anzi, sto vivendo la vita di un bozzolo senza farfalla. Passo le giornate con le tapparelle giù. Nessuno mi ha telefonato. D’altra parte chi mi aspettavo lo avrebbe fatto? Vago per casa arrotolato dentro alle lenzuola, mangio schifezze, guardo spazzatura.
Non so neanche che giorno sia.

Sento suonare il campanello, trasalisco. Non ricordavo neanche più che rumore facesse. Guardo l’orologio e sono le 23:00. Apro e mi trovo davanti Rudi.
« Amico -mi dice con un largo sorriso- ma come sei conciato? Scusa se non sono venuto subito a vedere come stavi ma sai, il colpo è stato grosso. Hai fatto rischiare molto anche me. Dai, mettiamoci una pietra sopra, andiamo fuori a berci qualcosa!».

« Vai a farti una doccia! Non ti dispiace se nel frattempo apro un po’ le finestre?» mi dice e intanto con la coda dell’occhio vedo il suo sguardo disgustato. Non mi sento di dargli torto.

Quella sera prendiamo una sbronza colossale, la sera dopo idem e così anche quella successiva.
Una mattina sento gli uccellini cantare. Ho un mal di testa fotonico. Devo aver dimenticato la tapparella alzata perché una luce mi sta trapanando il cervello. Il materasso sembra fatto di pietra. 

«Signore? Signore?» sento una voce vicina. Qualcuno mi tocca una spalla. Spalanco gli occhi e mi ritrovo un vecchio asiatico a un metro dalla faccia! Mi alzo di scatto e mi rendo conto di essere sdraiato su una panchina del parco.

«Si sente bene? Tutto a posto?»
Mugugno qualcosa perché non ho la forza di rispondere. Che diavolo ci faccio al parco e dove diavolo è finito Rudi?

Mi alzo traballante dalla panca a mi avvio verso casa.
«Ha bisogno di un passaggio? Vuole che l’accompagni?»
Non mi volto nemmeno, mi limito ad un cenno con la mano.

Torno a casa e trovo un messaggio di Rudi in segreteria « Scusa amico per ieri sera. L’avevi presa talmente grossa che non sono riuscito a portarti a casa! Ah ah! Dai, la prossima volta cercheremo di darci una limitata. Devo scappare, è arrivato il capo. Ciao Graffio!»

Ma vaffanculo.

Passano i giorni. Rudi non l’ho più sentito e io continuo a vivere così. Anzi, a dir la verità qualche piccolo miglioramento c’è stato. La mattina sollevo le tapparelle e la sera le abbasso.

Stavo fumandomi una sigaretta sui gradini dell’ingresso di casa mia, quando mi ricapita davanti il tizio asiatico del parco.

«Buongiorno! Sono felice di rivederla!»
«Mm…»
«La trovo decisamente meglio rispetto all’altro giorno! Ha voglia di fare una passeggiata? Potremmo fare due chiacchiere!»
«Guardi io non so neanche chi lei sia. La ringrazio per l’altro giorno ma ho bisogno di restare solo. Grazie.» «Certo. Mi scusi. Ma immaginando che sia il suo giorno di riposo, ho pensato che forse un po’ d’aria buona -disse guardando la sigaretta- e qualche sana chiacchiera, potrebbero allietarle la giornata»
Trovavo questo tizio estremamente impertinente ma non sapevo, a questo punto, come levarmelo di torno.
« Senta, guardi, la ringrazio molto per le sue premure – dissi in tono sarcastico – ma oggi ho una giornata premio per aver chiuso un importante contratto in azienda e la voglio dedicare al far niente. A cominciare da ora. Quindi, se non le dispiace…»
«Mi scusi, non era assolutamente mia intenzione risultare sgradevole. Le auguro allora una buona giornata di riposo. Arrivederci!»

« A mai più…» bofonchiai a bassa voce.

Passò qualche giorno di totale inattività. Continuavo ad ordinare cibo d’asporto per non uscire di casa e ormai vivevo in una situazione poco sostenibile. Buttavo giusto l’immondizia, ma solo per potermi muovere tra il salotto e la camera da letto.

Un giorno, mentre riempivo i bidoni, sento una presenza accanto a me.
« Buongiorno!».

foto di Vincenzo Nicocia- Viaggio intorno al tè
foto di Vincenzo Nicocia

Non ci credo, ancora il vecchio asiatico!

« Un’altra giornata premio? Beh allora dobbiamo festeggiare! Questa volta non posso accettare un no! Il destino ci ha fatto incontrare troppe volte!».

O sei tu che continui a passare da casa mia? Mi verrebbe da dire.

«Buongiorno. Sì esatto. Un altro super contratto.»
«Allora andiamo dai, facciamo due chiacchiere al parco!».

Ma che insistenza… magari se accetto poi la pianta di perseguitarmi.

Comincio a seguirlo con poco entusiasmo.

« Mi presento, che maleducato che sono! Il mio nome è Yun Lin, provengo dalla Cina e ho settant’anni. Lei?»
« Come? Ah sì, mi chiamo Matteo Graffio Girardi e ho trent’anni»
« Piacere di conoscerla! Scusi se mi permetto, abito da tanti anni qui ma non ho mai sentito nessuno chiamarsi “Graffio”. È particolare.»
« Eh? Ah no, non è che sia il mio nome all’anagrafe ma mi chiamano così, da sempre, al lavoro. Perché lascio il segno nelle contrattazioni che concludo» e mentre lo dico provo una forte fitta allo stomaco. Mi riprenderanno mai?

La passeggiata scorre tranquilla. Poi il Sig. Lin mi propone di sederci sul prato. Vedo che comincia ad armeggiare con uno strano vassoio e un thermos.
Fa tutto in silenzio e con estrema calma. Mi sento la testa ammaccata, come una mela marcia e i suoi gesti lenti e misurati quasi mi ipnotizzano, mi alleviano la pesantezza.

foto di Vincenzo Nicocia- Viaggio intorno al tè
foto di Vincenzo Nicocia

Poi dallo zainetto estrae una tazza alta senza manico, un altro contenitore di porcellana e due piccole tazzine. Non ne avevo mai viste di fatte così.

Il silenzio è surreale ma non riesco ad aprire bocca. Il Sig. Lin procede nella sua opera e lo percepisco come fosse in un’altra dimensione.
Lo guardo affascinato.

Apre il thermos, versa l’acqua nelle tazze, poi la versa nel vassoio, che evidentemente ha un doppio fondo.

Mi mostra il contenuto della prima tazza e vedo che ci sono delle piccole palline verdi, come foglie accartocciate. Riprende il thermos e riempie la tazza, mette il coperchio e poi versa l’acqua ottenuta nella seconda tazza e di seguito nelle tazzine piccole. Poi getta tutta l’acqua nuovamente nel vassoio.

Ripete tutta l’operazione una seconda volta.
Mi presenta poi il contenuto della tazza grande e adesso posso riconoscere delle belle foglie aperte. Mette nuovamente l’acqua, lascia in infusione pochi secondi e poi versa il tè nelle tazze piccole.

Mi dice: «Questo è Cha che significa tè ed è il simbolo dell’armonia tra l’uomo e la natura. Questa – disse, indicando la tazza con il coperchio- si chiama Gaiwan. È il simbolo dell’uomo tra cielo e terra. Il piattino corrisponde alla terra, la tazza sei tu, amico mio, e il coperchio è il cielo.»

Non capisco molto di quello che dice ma il fascino è talmente forte che credo che comunque abbia ragione, qualsiasi cosa mi voglia trasmettere.

«E ora gustiamoci questo liquore. Passa il liquido all’interno di tutta la bocca e poi, formando una conca con la lingua, inspira ossigeno. Così potrai assaporarne tutti i sapori ».

Mi sentivo un po’ scemo a fare ‘ste cose ma Yun era talmente serio che non riuscivo a non assecondarlo. Provai e mi sembrò quasi di meditare tanta era la pace e la serenità che percepivo in quel momento. Il tè era buono, nonostante non ne avessi mai provati in vita mia.

Yun proseguì con altre infusioni.

Ci fu un bel momento di silenzio. Sentivo cantare gli uccellini, il vento muoveva leggermente le foglie e qualche voce proveniva dalla scuola vicina.
Mi sentivo bene.

Poi Yun mi disse: « Amico mio, domani mi recherò in Cina per un paio di settimane. Al mio ritorno, se lo vorrai, mi piacerebbe prendere un altro tè assieme.» Così dicendo, cominciò a raccogliere tutte le sue cose con cura, chiuse lo zaino, si alzò e si incamminò.

Io rimasi come in trance. Mi ci volle una buona mezz’ora per ripigliarmi. Mi alzai e me ne tornai a casa.

Decisi di chiamare al lavoro. Cercai il capo ma non si fece trovare. Mi passarono invece Rudi. Scoprii che gli avevano dato il mio posto. Mi salì una rabbia indicibile. Brutto farabutto. Quella sera mi ubriacai, di nuovo. Mi addormentai guardando un film al pc e mi svegliai sentendo la pubblicità di un servizio di supporto psicologico on line. « Stronzate!» dissi e mi rimisi a dormire.

La mattina successiva, scrollando la home, mi ricapitò davanti la stessa pubblicità.
« Oh ma che palle!». Poi però pensai che forse sarebbe potuto essere il mio lascia passare per tornare in azienda. Cliccai sul sito, compilai svogliatamente il modulo, che mi faceva un sacco di domande, e inviai la richiesta.

Ricevetti una mail di conferma, un’assegnazione di un professionista e un appuntamento. Miseria, in terapia come i matti.

Feci la prima seduta e andò molto diversamente da come l’avevo immaginata. Una chiacchierata tranquilla, per nulla inquisitoria, senza giudizio alcuno. Raccontai quanto avvenuto al lavoro e nelle sedute successive cominciammo a dare una nome a questa cosa. Ero letteralmente andato in corto circuito a causa dello stress lavorativo, del mio bisogno viscerale di essere sempre competitivo, pronto, sul pezzo. La psicoterapeuta mi consigliò di passare del tempo all’aria aperta, di ritrovare il contatto con me e i miei bisogni, di ritrovare il vero Matteo.

Cominciai a fare lunghe passeggiate nel parco. Capitava anche di scambiare quattro chiacchiere. Le facce che incontravo erano spesso le stesse e mi sembrava di sentirle amiche. Si prendeva un caffè al chiosco o si faceva un tratto di percorso insieme.

Il tempo passava ed ero tornato a respirare.

Un giorno, mentre mi preparavo per uscire, ricevetti una telefonata. Era il mio capo, mi chiedeva come stessi e se avessi trovato una soluzione “al mio problema”, mi propose di tornare al mio posto. Sentì resistenza da parte mia e mi disse che Rudi era stato licenziato in tronco, aveva fatto una grande cazzata e avevano assolutamente bisogno che io tornassi. Mi avrebbero accordato anche un cospicuo aumento.
Rimandai la risposta al giorno successivo. Ma, la sua, pareva proprio una supplica.

Cosa avrà combinato Rudi per essere stato licenziato così? Gli sta bene però. Erano anni che si fingeva amico nell’attesa di farmi fuori.
Poi, di colpo, mi fermai. Sentivo il veleno inquinarmi la mente. In quel momento capii che questa non era più la mia vita. “Graffio” non esisteva più, ammesso fosse mai esistito.

Passarono le due settimane. Aspettavo il ritorno di Yun come un bambino aspetta il Natale.

foto di Vincenzo Nicocia- Viaggio intorno al tè
foto di Vincenzo Nicocia

Andai al parco e mi sedetti sotto l’acero dove bevemmo il tè. Lo vidi arrivare in lontananza. Gli corsi incontro e lo abbracciai.
« Amico Yun! Quanto mi sei mancato! È una gioia vederti!»
« Caro Matteo, ti trovo molto bene! Sembri un’altra persona!»
« La sono, ed è merito tuo!»
« Caro Matteo eri solo accartocciato, come il tè prima di incontrare l’acqua ricordi?»
« Come facevi a saperlo? E perché hai insistito così tanto? Non ero che uno sconosciuto per te!»
« Sai vedere i graffi, se li porti anche tu. Anche quando sono invisibili.»

                                                                                                        Roberta Anselmi

28 maggio 2022
#viaggiointornoaltè #témozioniamoci

*foto per gentile concessione di un amante del tè Vincenzo Nicocia

2 pensieri su “Graffi al sapore di tè

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