Jūnin toiro (dieci persone, dieci colori): il mondo è bello perché e vario

I proverbi e i detti giapponesi esercitano da sempre un certo fascino e hanno la caratteristica di condensare in poche parole un profondo significato: tra questi ve n’è uno, piuttosto famoso a dire il vero, che recita jūnin toiro 十人十色 (dieci persone, dieci colori). Il significato è chiaro: nel mondo ciascuno è unico e irripetibile e per tale ragione può contribuire a colorare il mondo con il pennello della diversità.

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Ora starete cercando il nesso di un’introduzione così poetica e filosofica con l’argomento principale del presente blog… mi affretto dunque a giungere al punto della questione: il fatto è che quanto sostenuto dalla saggezza popolare nipponica vale per uomini e animali tanto quanto per le piante e la Camellia Sinensis non fa certo eccezione! Nonostante si tratti infatti di un’unica specie, essa presenta numerose varietà dettate dalla genetica peculiare di ciascun esemplare le quali determinano caratteristiche fisiche e organolettiche differenti tra loro per ciascuno di essi.

La presenza di variazioni genetiche è un processo del tutto naturale alla base della teoria darwiniana dell’evoluzione delle specie (che non tratteremo in questa sede) ed è facilmente verificabile in ogni momento: basti semplicemente pensare al colore della pelle che contraddistingue le etnie umane o, semplicemente, al colore degli occhi e dei capelli. Tutti noi apparteniamo alla stessa specie, eppure non un singolo uomo è perfettamente identico all’altro e ciò avviene anche nel caso dei gemelli.

I cultivar

Tornando alla Camellia Sinensis, con il passare degli anni l’essere umano ha operato una selezione delle varietà presenti in natura nel tentativo di creare ceppi di esemplari che mantenessero all’interno delle loro generazioni riproduttive determinate caratteristiche ottimali al fine della produzione del tè o della resistenza alle condizioni territoriali e climatiche: l’insieme di esemplari frutto della selezione umana e dotati di caratteristiche comuni vengono detti Cultivar. Ad oggi quest’ultimi hanno raggiunto una quantità considerevole e vengono classificati nonché nominati all’interno di liste suddivise per territorialità.

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Quando ci accingiamo a comprare tè proveniente dal Giappone il suo nome è composto anche da quello della Cultivar (qualora si componga di una soltanto di queste) purché essa sia nota e registrata ufficialmente: l’attività umana di selezione delle varietà presenti in natura continua di fatto tutt’oggi ed è dunque ragionevole pensare che ogni anno vengano inseriti nuovi ceppi all’interno degli elenchi ufficiali. Per potere sfruttare appieno le informazioni presenti all’interno della nomenclatura giapponese dei tè, pertanto, è necessaria una panoramica delle Cultivar presenti nel territorio nazionale avendo l’accortezza, al fine di avventurarsi nella degustazione, di avere presente quali di esse siano le più rinomate o diffuse. In nome di quanto detto allora, per l’ultima volta, riprendiamo alla mano il nostro quaderno degli appunti e, con l’aiuto della nostra ormai amica penna, vediamo di mettere un po’ d’ordine!

Non ho la pretesa di analizzare ad una ad una ogni singola Cultivar sia perché sarebbe impossibile o quantomeno improbabile averle saggiate tutte sia perché, come già accennato, la creazione di nuove varietà artificiali è tuttora in corso. Di seguito, per cominciare, inserirò una breve lista delle Cultivar registrate tra il 1953 e il 2017 premettendo che essa è stata realizzata da terzi consultando l’elenco ufficiale stilato dal NARO (National Agriculture and Food Research Organization): l’intenzione è di rendere l’idea della vastità dell’argomento nonché di fornire un ottimo supporto di base per coloro che volessero esplorare più a fondo l’argomento.

Nome                                                                        Anno

Akane1953
Asagiri1954
Asatsuyu1953
Benifuji1960
Benifuuki1993
Benihikari1969
Benihomare1953
Benikaori1960
Benitachiwase1953
Fukumidori1986
Fuushun1991
Harumidori2000
Harumoegi2003
Harunonagori2012
Hatsumidori1954
Hatsumomiji1953
Himemidori1960
Hokumei1992
Indo1953
Izumi1960
Kanayamidori1970
Koyanishi1953
Kyoumidori1954
Makinoharawase1953
Meiryoku1986
Minamikaori1988
Minamisayaka1991
Minekaori1988
Miyamakaori2003
Miyoshi1953
Musashikaori1997
Nagomiyutaka2012
Nanmei2012
Natsumidori1954
Okumidori1974
Okumusashi1962
Okuyutaka1983
Rokurou1953
Ryoufuu1997
Saeakari2010
Saemidori1990
Sainomidori2003
Sakimidori1997
Satsumabeni1960
Sayamakaori1971
Sayamamidori1953
Seimei2017
Shunmei1988
Shuntarou2009
Soufuu2002
Sunrouge2009
Takachiho1953
Tamamidori1953
Toyoka1976
Unkai1969
Yabukita1953
Yaeho1954
Yamanami1965
yamatomidori1953
Yumekaori2006
Yumewakaba2006

 

Zairai 在来, ritorno alle origini

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Quando il tè venne importato in Giappone dalla Cina (per ulteriori dettagli è possibile consultare il mio articolo qui) esso venne inizialmente lasciato crescere per propagazione naturale, ovvero tramite germogliazione a partire dai semi: solo in seguito ebbe inizio la pratica di generare delle Cultivar mediante la riproduzione per talea la quale generava esemplari meno robusti ma con caratteristiche identiche alla generazione precedente.

La Zarai, oggi considerata cultivar, non è in realtà una varietà selezionata dall’uomo: si tratta, di fatto, dell’insieme di alberi di Camellia Sinensis, oggi di numero piuttosto limitato, che ancora crescono in natura sul suolo del Sol Levante. Quando ci si approccia ai tè appartenenti alla suddetta Cultivar, pertanto, si otterranno liquori estremamente differenti tra di loro: tale fattore è dovuto alla difformità della materia prima composta da foglie disomogenee tra loro proprio in virtù del fatto che esse non provengono da una coltivazione selezionata.

Yabukita 薮北, per gli amanti dei “classici”

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In seguito all’avvento del capitalismo e come conseguenza della globalizzazione il Giappone conobbe, a partire dagli anni ’60, un aumento della richiesta del tè: l’industria dovette dunque modernizzarsi adottando sistemi di lavorazione meccanici in grado di accelerare i tempi e fare fronte a una produzione quantitativa insufficiente. La soluzione a quest’ultimo problema consisteva anche nell’ideazione di Cultivar in grado di mantenere i sentori tipici delle varietà locali garantendo al contempo una più alta produttività e resistenza alle intemperie.

A seguito, alcune foto storiche del XX sec. d.C. nelle quali è evidente il cambiamento imposto dall’aumentata richiesta di mercato.

Sugiyama Hikosaburo (1857-1941 d.C.) sviluppò, nel 1908 d.C., la prima Cultivar giapponese ufficialmente registrata (1954 d.C.) ossia la Yabukita 薮北. Come suggerisce il nome di quest’ultima, composta dai kanji yabu 薮 (crescere) e kita 北 (nord), essa era in grado di resistere a basse temperature sopravvivendo così in Terroir dalle conformazioni geofisiche più diverse, sfidando il clima estremamente variabile dell’isola. Ancora oggi, in Giappone la Yabukita risulta essere la Cultivar più diffusa e copre circa il 70% dell’intera produzione nazionale: nella prefettura di Shizuoka, suo luogo d’invenzione, essa copre addirittura il 90% della coltivazione locale.

Benihomare べにほまれ, lo sbarco del tè ossidato

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Contrariamente rispetto a quanto si potrebbe ipotizzare data la sua popolarità, Yabukita non fu la prima Cultivar sviluppata in Giappone: il primato spetta invece alla Benihomare. Quest’ultima è stata sviluppata a seguito dell’intensificarsi dei commerci con l’Occidente: i nuovi acquirenti, di fatto, avevano gusti che più si avvicinavano ai sentori del tè ossidato (rosso secondo la nomenclatura cinese) e, per soddisfare la richiesta di mercato, i giapponesi tentarono di produrlo a discapito del tradizionale tè verde.

Tada Motokichi (1829-? d.C.) viaggiò in diversi Paesi all’infuori del Sol Levante per apprendere le tecniche di produzione del tè ossidato stesso: nondimeno, una volta portate le proprie conoscenze in patria esse non condussero a risultati soddisfacenti. Nel 1887 d.C., per risolvere le problematiche previo citate, lo stesso Motokichi importò dall’India alcuni semi di Camellia Assamica: nel 1953, dall’unione di quest’ultimi con esemplari autoctoni, fu ufficialmente registrata la Benihomare.

Utilizzata dunque per la produzione di Wakocha 和紅茶, il tè nero giapponese (in inglese black), la Cultivar in questione si distingue per foglie di grandi dimensioni e colore scuro e una discreta resistenza alle basse temperature. Il liquore prodotto, infine, appare di un rosso brillante ma è sconsigliato aggiungervi zucchero o latte in quanto, essendo frutto di un incrocio tra la varietà Assamica e esemplari autoctoni, esso non presenta la robustezza che contraddistingue invece la sua controparte indiana mantenendosi piuttosto su sentori più sobri e delicati.

Okumidori おくみど, l’alternativa

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Spesso tra le Cultivar più ricorrenti per quanto concerne i tè verdi troviamo, oltre che Yabukita, anche Okumidori: si tratta di un ibrido, ufficialmente registrato a Shizuoka nel 1974, tra la prima e una varietà locale. Tratti tipici degli esemplari di Okumidori sono le foglie dalla forma allungata e di dimensioni ridotte rispetto allo standard: inoltre, una pronunciata resistenza alle gelate ne consente la coltivazione anche nelle aree dove il clima è più rigido.

Il sapore sprigionato dalle foglie di Okumidori sembrano ricalcare quelli della sua “gemella” Yabukita ma con una marcata differenza cromatica. Il liquore ottenuto, di fatto, non si presenta di colore paglierino bensì di un verde puro e delicato.

Saemidori さえみどり, per chi non può aspettare

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Il Gyokuro è sicuramente uno dei tè giapponesi più pregiati e apprezzati ma, come bene sappiamo, il processo di produzione richiede lunghi tempi e accorgimenti minuziosi: nondimeno, esisterebbe una Cultivar, detta Asatsuyu あさつゆ, rinomata per ricordare gli aromi tipici del tè in questione senza però la necessità di essere lavorata come quest’ultimo. Tutto questo sarebbe meraviglioso, se non fosse che Asatsuyu è caratterizzata anche da tempi di crescita estremamente lenti.

Per fare fronte alla crescente richiesta di mercato unitamente all’esigenza sempre più presente della qualità nel 1990 venne ufficialmente creata Saemidori. La suddetta cultivar vanta il pregio di svilupparsi con estrema celerità perdendo parte degli aromi tipici di Asatsuyu ma riuscendo ugualmente a mantenere un sapore ricercato, unico e delicato: inoltre, tali qualità organolettiche non variano significativamente da un raccolto all’altro dello stesso anno. Il prezzo da pagare per avere “tutto e subito”, però, non tarda a farsi sentire: gli esemplari sopravvivono soltanto a temperature miti e hanno una scarsa resistenza a venti o inondazioni a causa delle loro radici poco profonde.

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È stato arduo: abbiamo dovuto studiare geografia, mettere alla prova la nostra memoria e analizzare processi produttivi o usanze locali ma, alla fine, abbiamo raggiunto una conoscenza basilare per potere godere appieno del tè giapponese. Sperando di avervi fornito nella maniera più completa e chiara possibile gli strumenti necessari per indagare il vasto mondo della produzione nipponica voglio congedarmi mettendomi in gioco per farmi conoscere meglio: quale migliore carta d’identità, dunque, se non confessarvi quale sia, ad ora, la mia Cultivar favorita? Ebbene, come vi ho già detto, l’elenco delle varietà selezionate dall’uomo è in costante aggiornamento e, essendo stata registrata ufficialmente solo di recente, quella che preferisco non è presente nella lista all’interno dell’articolo ma ve la presento comunque: il suo nome è Shizu. Il suo aroma zuccherino, l’odore di tostato leggermente smorzato da note dolci e floreali ricorda l’ingresso in una pasticceria ma, all’assaggio, un sottile retrogusto salato cerca di confondere i sensi, mi intriga e invita a pensare che nulla sia certo, che tutto passi per poi ritornare sotto forma di ricordo esattamente come i sakura sbocciano, sfioriscono cullati dal vento per poi tornare l’anno successivo…

Omar
13 dicembre 2018

#UnTèAlSolLevante #UnoSpazioPerTe #ViaggioIntornoAlTè

12 pensieri su “Jūnin toiro (dieci persone, dieci colori): il mondo è bello perché e vario

  1. Ho assistito ad una cerimonia del tè ,che nella versione originale ducevano duri ben 4 ore. Era così strano vedere quei movimenti così controllati. E tutto aveva un significato. Volevo chiederti una curiosità, se posso, come mai fanno il tè anche a perle? E quale tipologia di tè ha un potere più benefico per il nostro corpo e spirito?

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    1. Sono felice che la cerimonia del tè abbia suscitato interesse: purtroppo, ad oggi, essa ha perso molto di quello che possedeva in passato a causa della modernità e conseguente mancanza di tempo. Procedo rispondendo, per quanto mi è possibile, alle domande poste.
      Cosa intendiamo, esattamente, con tè “a perle”? Se ci riferiamo all’arrotolamento delle foglie in forma sferica, ad esempio come quelle del rinomato “Jasmine Dragon Pearls” cinese, posso solo affermare che tale pratica non è originaria del Giappone bensì della stessa Cina. D’altro canto, storicamente parlando, gran parte dell’eredità culturale giapponese deve la propria esistenza ai cinesi, si pensi soltanto al fatto che l’utilizzo del ferro nonché la coltivazione del riso non erano presenti sull’isola prima che i cinesi stessi li importassero con le prime invasioni.

      Per quanto riguarda il secondo interrogativo, se si tratta di parlare di virtù mediche o terapeutiche non posseggo le conoscenze in grado di individuare quale tipologia di tè sia più ricco di sostanze benefiche anche se posso ipotizzare che, assumendo direttamente la foglia e non un infuso di quest’ultima, il tè Matcha possegga proprietà più concentrate. In riferimento allo spirito, invece, mi sento di dare un suggerimento personale… ogni tè è un po’ come una favola, ha una propria storia da raccontare fatta di viaggi, aromi, colori e sapori e ritengo che ognuno di noi finisca inevitabilmente con l’avere le proprie preferenze in quanto alcune di quelle caratteristiche lo rimandano a momenti tristi o felici della propria esistenza. L’unica cosa che posso suggerire, dunque, è di non precludersi mai nuove esperienze ma, allo stesso tempo, concedersi qualche coccola ritornando a quei tè cui tanto siamo legati perché solo stando bene con noi stessi potremo essere sani anche esteriormente!

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    1. Grazie degli apprezzamenti e… buon onomastico da parte mia e di Barbara! Sono felice che l’articolo sia piaciuto! Ho cercato di rimanere più “umano” possibile nonostante la tematica trattata fosse, per sua natura, abbastanza “tecnica”.

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    1. Grazie, anche se per fare un’analisi completa non sarebbero bastati un solo articolo e nemmeno la mia esperienza personale visto che, come già detto, le Cultivar sono praticamente infinite e se ne scoprono di nuove continuamente!

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  2. Grazie delle tue gentilissime risposte. Sì è davvero un peccato che le persone magari passano 4 ore davanti al pc a giocare ma poi pensano che 4 ore di cerimonia siano troppe.
    Le perle di Jasmine le ho viste per ls prima volta in un negozio specializzato solo in tè. Comunque si sono quelle foglie arrotolate in forma sferica. Credevo che questo modo di arrotolarle potesse sprigionare un aroma diverso e più intenso magari, visto che costano moltissimo rispetto al resto del tè ma ovviamente il personale presente in negozio non sapeva che pochissime cose sul tè.
    In effetti il tè hai ragione era un’abitudine cinese, tant’è vero che adesso si è riscoperta la potenza del tè verde e lo si trova dovunque. Comunque io non uso mai le bustine, faccio tutto in teiera. Riscaldo la teiera con l’acqua calda, poi svuoto la teiera e metto le foglie secche nel fobdo e copro col coperchio e lascio che il tè impregni tutta la teiera. Poi dopo 10 minuti verso l’acqua calda sul te e lo faccio stare altri 10 minuti e dopo lo verso in tazza. Non metto zucchero mai ma lo gusto al naturale. Tu come lo prepari?
    Sei mai stato in Cina o Giappone?
    A me piace molto la cultura orientale ma non quella moda dei manga e anime. La cultura zen della semplicità e della lentezza. Credo che troppe cose siano andate perdute purtroppo. Tu che ne pensi?

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    1. Per quanto riguarda le perle di Jasmine il prezzo elevato è dovuto sia alla lavorazione che conferisce alle foglie la loro forma caratteristica sia al fatto che si tratti di un tè profumato: durante la lavorazione, infatti, vengono aggiunti fiori di gelsomino per conferire, appunto, l’odore floreale al tè. I fiori stessi però non si ritrovano nel prodotto finito in quanto vengono tolti prima del confezionamento finale.
      Personalmente, per infondere il tè preferisco il metodo orientale che prevede infusioni multiple, rapide e con un maggiore quantitativo di foglie: ne trovi una descrizione d’esempio in un mio precedente articolo del quale lascio il link di riferimento.

      https://viaggiointornoalte.net/2018/11/29/kyobancha-京番茶-il-dono-dellinverno/

      L’infusione occidentale, invece, consiste in una singola (al massimo due o tre per alcuni tè neri o fermentati) infusione eseguita per tempi più prolungati ed utilizzando un minore quantitativo di foglie ma, sinceramente, anche per i tè neri non dovrebbe superare i 5 minuti in quanto più tempo rimane in infusione un tè, più esso risulterà tannico o astringente, privandoci così di grande parte degli aromi e dei sapori che possiede. Se posso permettermi un consiglio dunque, relegando a Barbara eventuali delucidazioni in merito, prova a ridurre il tempo d’infusione stesso del tuo tè e facci sapere cosa ne pensi! Anche in questo caso, lascio un link di rimando ad un articolo semplice e chiaro scritto da Barbara in merito alle tecniche d’infusione nella speranza che possa essere di interesse.

      https://viaggiointornoalte.net/2018/04/29/te-infusione-occidentale-e-orientale/

      Infine, per quanto riguarda l’aspetto dei manga/anime, mi sento di dire quanto segue. Sicuramente l’animazione giapponese oggigiorno ha riscosso grande successo, divenendo una vera e propria “moda”, ma non per tale ragione deve essere rilegata a fenomeno marginale: è mia opinione che, ad un occhio attento, anche dietro ad un semplice fumetto o cartone animato si nascondano aspetti culturali e sociali che valgono la pena di essere indagati. Io stesso, prima di avvicinarmi allo studio del Giappone e della lingua, sono stato attratto ed incuriosito da anime e manga: questi mi hanno permesso sia di avvicinarmi alle tradizioni orientali sia di apprendere, indirettamente, numerose nozioni senza la necessità di doverle studiare. Basti pensare a quanto l’attuale genere manga nasca prenda spunto anche da pittori classici quali, per esempio, Hokusai o Hiroshige, per rendersi conto di come zen e cultura pop non siano altro che due facce della stessa medaglia. Anche il mondo del tè, di fatto, è entrato a fare parte dell’animazione nipponica: ve ne parlerò presto in un altro articolo, promesso!

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