I primi contatti tra europei e Giappone avvennero nel periodo Muromachi (1333-1573 d.C.), tra il 1542 e il 1543 d.C., grazie alla scoperta dell’isola da parte dei Portoghesi che portarono il pane, innovazioni scientifiche e tecnologiche quali le armi da fuoco. A causa delle cosiddette “Compagnie Orientali”, come la Compagnia olandese delle indie orientali (VOC) e la compagnia britannica delle indie orientali (EIC = British East India Company), il commercio con i giapponesi venne in quota parte interrotto e si ampliò soltanto a partire dalla fine del periodo Edo (1600-1868 d.C.), con l’editto rivoluzionario denominato restaurazione Meiji (1868 d.C.), che poneva fine all’isolamento del Giappone.

Isaac Titsingh (1745–1812 d.C.), responsabile di uno stabilimento commerciale olandese presso Nagasaki, l’unico porto dove erano permessi gli unici scambi commerciali con gli stranieri (Cina compresa), fu probabilmente il responsabile delle prime esportazioni in Europa di stampe giapponesi, dette Ukiyo-e, che sarebbero poi divenute principali fonte d’ispirazione per i pittori impressionisti, primo fra tutti Monet.
Dopo questa breve ma doverosa digressione storica giungiamo al punto: cosa c’entra il tè con Monet, gli impressionisti e noi Occidentali? Pochi sanno che uno dei maggiori responsabili del fascino orientale esercitato sugli Europei sia stata proprio la bevanda che tutti noi oggi apprezziamo. Siete curiosi? Vediamo insieme di cosa si tratta!
Avendo l’opportunità di commerciare con l’Occidente, i giapponesi cominciarono ad adottare vere e proprie strategie di marketing, come le chiameremmo oggi, per attirare l’attenzione degli acquirenti. Tra quest’ultime spiccò anche la pratica di decorare gli imballaggi destinati al trasporto delle foglie di tè con immagini che ne richiamassero il contenuto rifacendosi contemporaneamente alla tradizione culturale e pittorica del Sol Levante: tale pratica prese il nome di Ranji (蘭字) e fu con ogni probabilità uno dei primi mezzi tramite il quale la pittura giapponese giunse in Europa.

I Ranji erano vere e proprie etichette dai colori sgargianti ottenute attraverso la già citata tecnica xilografica chiamata Ukiyo-e e potevano raffigurare vari soggetti, da semplici motivi naturali a costumi e personalità eminenti dell’epoca. Ben presto in Occidente le confezioni di tè giapponesi divennero oggetti ricercati e collezionati costituendo un polo di attrazione in ambito artistico nonché stimolando la curiosità di scoprire nuove prospettive di vita.
La lingua giapponese è piena di omofoni, ossia parole dal significato differente ma pronunciato nello stesso modo (un esempio, in Italiano, potrebbe essere la parola “sirena”, con la quale possiamo indicare sia un essere mitologico che un allarme automatizzato): per ironia della sorte, il termine Ranji può tradursi anche con “studio dello straniero” ed era utilizzato in patria durante il periodo di isolamento per indicare l’attività di esaminare la mentalità occidentale.
Mi piace pensare che la pittura delle scatole del tè sia stato un modo per studiare la nostra reazione, per comprendere quanto fosse possibile o meno una comunicazione tra popoli. Il mio invito è quello di non considerare mai le proprie conoscenze delle certezze: quello che ci è stato insegnato e che abbiamo appreso costituisce solo un possibile punto di vista sul mondo che non ci dona il privilegio di potere giudicare il prossimo. Ritengo sia ammirevole essere in grado di accantonare le proprie convinzioni per osservare la realtà da altre prospettive e potere finalmente considerare il prossimo come un essere pensante e una fonte di ispirazione.
Ora, dunque, lasciamoci affascinare da alcune di queste stampe e abbandoniamoci tra le braccia del prossimo, lasciandoci trasportare dall’incanto di un mondo tutto nuovo con l’innocenza di un bambino e la libertà delle foglie (di tè) trasportate dal vento!
Omar
3 ottobre 2018
#untèalsollevante #viaggiointornoalte
Grazie Omar, articolo veramente interessante 😀
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Grazie mille Giorgia da Barbara e Omar
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Molto interessante, grazie anche da parte mia
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Grazie mille Paola da me e da Omar 😀
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Le tue storie, le info e il modo come le scrivi mi fa viaggiare, trasmettono emozioni, come il tè. È veramente un inno al tè. Grazie Omar e Barbara
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Grazie da parte mia e di Barbara!
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L’ha ribloggato su Vagamentè.
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